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Outlook a cura del team Multi-Asset

Tassi più elevati più a lungo: quali sono le implicazioni per i mercati?

Nanette Abuhoff Jacobson, Global Investment and Multi-Asset Strategist
Supriya Menon, Head of Multi-Asset Strategy – EMEA
2023-11-30
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Le opinioni espresse sono quelle degli autori alla data di redazione. I singoli team di gestione possono esprimere opinioni differenti e prendere decisioni di investimento diverse. Il valore finale dell’investimento potrebbe essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. I dati di terzi utilizzati nel presente documento sono considerati affidabili, tuttavia non è possibile garantirne l’accuratezza. Destinato esclusivamente a investitori professionali e istituzionali.

Punti chiave

  • Una crescita più debole alle porte: le banche centrali lotteranno contro l’inflazione e il rallentamento della crescita, il che avrà un impatto diverso in base alle regioni. Tassi più alti, liquidità più contenuta e condizioni finanziarie più deboli suggeriscono un rischio di ribasso per gli utili e i multipli. Questo ci porta a prediligere un moderato sottopeso delle azioni globali rispetto a un obbligazionario difensivo.
  • In ambito azionario, riteniamo che i fondamentali favoriscano gli Stati Uniti e il Giappone rispetto all’Europa e ai mercati emergenti, che probabilmente risentiranno maggiormente degli effetti dell’innalzamento dei prezzidell’energia e della debolezza della Cina. La robustezza del dollaro USA sta spingendo al rialzo l’inflazione e il deficit delle partite correnti nei Paesi emergenti.
  • Preferiamo un leggero sovrappeso sull’obbligazionario difensivo, per bilanciare l’inflazione e il rischi di recessione. Le valutazioni e l’aggressività delle banche centrali suggeriscono una posizione lunga sui tassi statunitensi e una più corta sui tassi europei. Le valutazioni degli spread non sono particolarmente interessanti e potrebbero essere influenzate dall’avversione al rischio.
  • Abbiamo un posizionamento moderatamente sovrappesato sulle materie prime, anche se differenziare resta fondamentale. Le restrizioni legate al COVID in Cina e i problemi sul mercato immobiliare ci portano a prediligere l’energia rispetto ai metalli industriali. L’oro continua a essere influenzato dall’aumento dei tassi reali statunitensi.
  • I rischi di ribasso rispetto alle nostre opinioni includono una grave recessione negli Stati Uniti o in Europa, una crisi sovrana indotta dalla valuta e un aggravarsi del conflitto in Ucraina. I rischi al rialzo includono invece uno scenario di atterraggio morbido, nel quale la Federal Reserve inasprirebbe le proprie misure monetarie quanto basta, e un considerevole intervento monetario in Cina.
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Il rally azionario di luglio e agosto sembra ormai un lontano ricordo: l’ottimismo del mercato è stato messo in discussione dai dati in crescita sull’inflazione, dall’ulteriore inasprimento messo in atto dalle banche centrali, da un altro shock sulle forniture di gas naturale, dalla persistenza della debolezza dell’economia cinese e dagli allarmi sugli utili societari. Inoltre, le politiche monetarie e fiscali divergenti, evidenziate dai segnali inizialmente contrastanti del Regno Unito su questi fronti, stanno determinando la volatilità e le dislocazioni dei mercati. Nel complesso, riteniamo che nei prossimi mesi gli asset di rischio risentiranno della politica monetaria più restrittiva e del rischio di una riduzione degli utili e dei multipli societari. Eppure, in questo contesto, il profilo di rischio/rendimento degli asset può cambiare radicalmente, e stiamo cercando di individuare prezzi spinti al ribasso da fattori non legati ai fondamentali. Per valutare se è il momento di aumentare il rischio, osserveremo diversi segnali; ad esempio il caso in cui il mercato stia prezzando una grave recessione e l’economia sia sufficientemente debole o l’inflazione sufficientemente contenuta da innescare una tregua nell’inasprimento delle misure da parte della Fed.

Le nostre opinioni su base regionale sono leggermente cambiate, dato che banche centrali, cicli e mercati stanno reagendo in modo asincrono all’aumento dell’inflazione. Nel contesto del nostro posizionamento moderatamente sottopesato sulle azioni globali, continuiamo a prediligere gli Stati Uniti e il Giappone, mentre siamo più negativi sulle azioni europee. L’economia statunitense è sostenuta dalla spesa dei consumatori e dalla salute dei bilanci, mentre in Europa sembra inevitabile una recessione dovuta allo shock energetico.

Passando ai mercati obbligazionari, lo scorso trimestre abbiamo previsto in modo precoce il passaggio del clima di mercato dalla stagflazione all’indebolimento della crescita, ma continuiamo a credere che una frenata della crescita sia ormai imminente, e che questa porterà alla stabilizzazione dei rendimenti obbligazionari. Anche in questo caso c’è una differenza tra i mercati statunitensi e quelli europei, in quanto la Fed si trova uno stadio più avanzato nella lotta all’inflazione rispetto alla BCE. (Figura 1). Nell’ambito della nostra posizione neutrale complessiva sui tassi globali, preferiamo adottare posizioni lunghe sui tassi USA e corte sui tassi europei.

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Manteniamo la nostra opinione sottopesata sul reddito fisso di tipo growth, in linea con il nostro orientamento alla qualità. A nostro parere, gli spread non compensano gli investitori per l’elevato rischio di recessione. Siamo moderatamente rialzisti sulle materie prime, ma attualmente preferiamo l’energia ai metalli, che potrebbero rimanere deboli a causa della contrazione del mercato immobiliare cinese e dell’indebolimento del ciclo globale.

Azionario: le sfide globali gravano soprattutto sull’Europa e sui mercati emergenti

Continuiamo a preferire Stati Uniti e Giappone rispetto a Europa e mercati emergenti. Le tensioni geopolitiche e la crisi energetica continuano a gravare sull’Europa e la quasi totale chiusura del gas russo rende un’eventuale recessione lo scenario più probabile. Le valutazioni, le aspettative sugli utili e il posizionamento riflettono una prospettiva più pessimistica (l’Europa è la più economica tra i mercati sviluppati), ma potrebbe scendere ulteriormente fino raggiungere livelli recessivi.

Nonostante l’utilità delle misure adottate dall’UE e dal Regno Unito per sostenere le famiglie, allentare le norme fiscali e contenere i prezzi energetici, in Europa sarà necessario un ulteriore inasprimento delle politiche monetarie. Per via del radicamento dell’inflazione, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Banca d’Inghilterra (BOE) dovranno continuare ad aumentare i tassi, anche in caso di recessione. Nel Regno Unito, la politica fiscale espansiva ha esacerbato il problema del doppio deficit e alimentato i timori di una crisi della bilancia dei pagamenti.

Ci aspettiamo che le forniture energetiche europee rimangano limitate almeno fino al 2025-2026, quando arriveranno sul mercato nuove importanti fonti di gas. Nel breve e medio termine, è probabile che questo mantenga i prezzi dell’energia in Europa a livelli molto più alti rispetto agli Stati Uniti (Figura 2), con il rischio di razionamento dell’energia e una potenziale perdita relativa di produzione e di competitività. Ciò si riflette in un indebolimento dell’euro, che ha in parte compensato l’inasprimento delle condizioni finanziarie e sostenuto la sovraperformance dell’azionario europeo in termini di valuta locale. In ultima analisi, però, l’onere dell’adeguamento a fondamentali più deboli potrebbe passare dalla valuta alle azioni.

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Sebbene la politica monetaria dei mercati emergenti, e della Cina in particolare, stia diventando sempre meno restrittiva, le difficoltà legate alla redditività, alle incertezze normative e alla crisi del settore immobiliare cinese contribuiscono ancora a previsioni non proprio rosee. A parte alcuni esportatori di materie prime, i mercati emergenti sono ostacolati dall’aumento dei prezzi e dalla limitazione delle forniture alimentari ed energetiche. Le tensioni geopolitiche e l’eventuale riallineamento delle catene di approvvigionamento rappresentano ulteriori rischi.

L’atteggiamento aggressivo della Fed e il dollaro forte pesano sulla propensione al rischio in generale e soprattutto sui mercati emergenti. Prima di rivedere la nostra opinione moderatamente sottopesata sui mercati emergenti, cercheremo prove di un’inversione di tendenza del dollaro (ad esempio, un aumento dell’aggressività di altre banche centrali rispetto alla Fed) e di una svolta più significativa in termini di politica monetaria in Cina.

Dati i nostri timori per l’Europa e i mercati emergenti, e per l’azionario globale in generale, la nostra preferenza per l’azionario statunitense è relativa. Le valutazioni e le aspettative sugli utili più elevate negli Stati Uniti riflettono un maggiore ottimismo sulle prospettive del Paese rispetto al resto del mondo, che riteniamo giustificato alla luce della solidità del mercato del lavoro, di fondamentali aziendali stabili e di un elevato grado di indipendenza energetica. Le aspettative relative all’inflazione sono più contenute e ci sono segnali di abbassamento dei prezzi dei beni. Inoltre, i primi segnali di un’inversione di tendenza dei prezzi immobiliari sembrano indicare che i costi abitativi in generale raggiungeranno il picco nei prossimi mesi. In caso di recessione globale, i titoli ciclici arrancheranno, altro elemento a degli Stati Uniti su base relativa.

Le azioni giapponesi potrebbero beneficiare di valutazioni favorevoli e di una valuta debole. Nonostante le forti pressioni sullo yen e alcuni timori per i rischi di rialzo dell’inflazione, la Bank of Japan (BOJ) resta impegnata nel controllo della curva dei rendimenti, puntando su interventi valutari diretti in difesa dello yen. Anche se la BOJ dovesse modificare il suo approccio al controllo della curva dei rendimenti, il mix di misure monetarie sarebbe comunque più favorevole rispetto ad altre regioni, se combinato con una probabile espansione fiscale. Se il Giappone riuscirà a creare il giusto tipo di inflazione trainata dalla domanda, soprattutto attraverso la crescita salariale e l’occupazione delle fasce più giovani, potrà accelerare la crescita economica nominale.

I settori che prediligiamo sono quello energetico, dove le tendenze favorevoli legate a domanda e offerta restano solide, e quello dei materiali. I fondamentali societari sembrano interessanti in entrambi i settori grazie a disciplina nell’utilizzo del capitale, multipli ragionevoli, solidi flussi di cassa e spread di credito ben equilibrati. Tra i vari settori, preferiamo le società con potere di determinazione dei prezzi, stabilità dei margini a lungo termine e bilanci sani, dato il loro potenziale di generare risultati discreti in un contesto caratterizzato da pressioni dei costi e volatilità.

Materie prime: crollo della domanda in un’economia globale in frenata

Abbiamo un posizionamento moderatamente sovrappesato sulle materie prime. Continuiamo a individuare opportunità nel settore energetico, viste le sfide strutturali dell’offerta che hanno contribuito a condurre i roll yield in territorio positivo (backwardation). Tuttavia, il nostro posizionamento sui metalli industriali è diventato neutrale. Riteniamo che l’erosione della domanda dovuta al rallentamento del ciclo globale supererà i benefici delle strozzature dell’offerta e si tradurrà probabilmente in una pressione a breve termine sui prezzi. Siamo passati a un posizionamento neutrale sui metalli industriali.

L’oro si trova di fronte a un quadro eterogeneo, in quanto l’equilibrio dei rischi si sta spostando verso uno scenario di rallentamento della crescita rispetto a uno di stagflazione. Pertanto, abbiamo un’opinione moderatamente sottopesata.

Obbligazionario: più positivi a rendimenti più elevati

Siamo del parere che i mercati obbligazionari siano in anticipo rispetto a quelli azionari per quanto riguarda il prezzamento per il picco del tasso sui fed fund previsto dalla Fed (come mostrato nella Figura 1). La previsione mediana della Fed di un’inflazione del 3% (basata sull’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali) e di un tasso sui fed fund del 4,6% nel 2023 implica un tasso reale positivo di oltre l’1,5%, che considereremmo restrittivo in termini reali (e questo, ovviamente, è l’obiettivo politico della Fed). I rendimenti vicini al 4% dei Treasury decennali statunitensi e la chiara volontà della Fed di sacrificare la crescita ci portano a credere che le valutazioni dei titoli di Stato USA siano interessanti. La domanda chiave è se il tasso terminale della Fed debba aumentare per far scendere l’inflazione.

In Europa siamo diventati più cauti sul mercato dei tassi. L’opinione del nostro team macro sull’inflazione europea e sui rialzi della BCE è superiore al consenso, al contrario di quella sul PIL che è inferiore al consenso. Questo suggerisce un contesto di maggiore stagflazione rispetto agli Stati Uniti. La spesa fiscale è elevata e in aumento, il che potrebbe alimentare la domanda anche se la BCE sta cercando di frenarla. 

Abbiamo rivisto al ribasso il nostro posizionamento sulle obbligazioni societarie investment-grade da moderatamente sovrappesato a moderatamente sottopesato, poiché gli spread non sono particolarmente ampi alla luce del nostro scenario di base di recessione. Crediamo inoltre che gli spread non siano abbastanza ampi nel reddito fisso di tipo growth per compensare i default più elevati in caso di recessione. Detto questo, i rendimenti di circa il 5,5% nell’investment-grade e di oltre il 9% nei titoli high yield possono essere interessanti per gli investitori in cerca di reddito e come alternativa alle azioni. Inoltre, individuiamo opportunità selezionate sia nel credito a breve termine, visti i prezzi contenuti del dollaro e l’interessante carry, sia nel credito strutturato, dove gli asset immobiliari residenziali non-agency di tipo MBS possono essere ben isolati dalle perdite grazie al patrimonio netto accumulato in queste strutture.

Rischi

I rischi di ribasso per i nostri posizionamenti includono una grave recessione negli Stati Uniti, che si verificherebbe se la Fed non riuscisse ad ancorare nuovamente l’inflazione o se le condizioni finanziarie si inasprissero eccessivamente. Una grave recessione è un rischio di ribasso anche per l’Europa, dove sarebbe probabilmente provocata da una prolungata crisi energetica e dai relativi tagli alla produzione industriale.

Altri rischi di ribasso sono rappresentati da un’estrema volatilità delle valute (ad esempio, i mercati punirebbero le valute delle regioni con una spesa fiscale espansiva e una politica monetaria troppo accomodante) e da sviluppi più drammatici nel conflitto in Ucraina, compreso un maggiore rischio di utilizzo di armi nucleari da parte della Russia. 

Tra i rischi di rialzo figurano invece uno scenario di atterraggio morbido, nel quale la Federal Reserve inasprirebbe le proprie misure monetarie al punto giusto, e una politica monetaria inaspettatamente favorevole in Cina. A livello micro, le società potrebbero essere in grado di mantenere il potere di determinazione dei prezzi, preservando così i margini e sostenendo la crescita degli utili su un periodo di 12 mesi a livelli superiori a quelli attualmente previsti dal consenso. Un altro rischio di rialzo per le nostre sottoponderazioni azionarie (sia globali che regionali) è che le valutazioni, soprattutto in Europa e nei mercati emergenti, si siano adeguate per riflettere più che pienamente gli utili e altri rischi.

Implicazioni di investimento

Orientamento verso la qualità. Probabilmente la stretta sincronizzata delle banche centrali rallenterà il ciclo globale. Crediamo che sia opportuno rivolgere l’attenzione a società con potere di determinazione dei prezzi, stabilità dei margini a lungo termine e bilanci sani, dato il loro potenziale di andamento relativamente positivo in presenza di pressioni sui costi e volatilità. I fondamentali delle società nei settori dell’energia e dei materiali sembrano interessanti grazie a disciplina nell’utilizzo del capitale, a multipli ragionevoli, a solidi flussi di cassa e a spread di credito ben equilibrati.

Preparazione alla divergenza regionale. Sebbene molte banche centrali stiano inasprendo le loro politiche monetarie contemporaneamente, ci aspettiamo che le singole economie e i mercati si comportino in modo diverso. Ad esempio, le azioni e i tassi europei potrebbero essere più influenzati dai drawdown rispetto agli Stati Uniti. L’esposizione valutaria va monitorata, in quanto potrebbero verificarsi altri casi in cui le politiche fiscali e monetarie di un Paese divergano, come quello che ha fatto impennare i rendimenti dei titoli di Stato nel Regno Unito, creando dislocazioni di mercato e opportunità di investimento.  

Ricostruzione selettiva dell’esposizione al segmento obbligazionario difensivo in un contesto di maggiore volatilità. L’obbligazionario di qualità elevata appare più competitivo rispetto all’azionario dal punto di vista dei rendimenti e potrebbe offrire vantaggi e diversificazione una volta che il ciclo di rallentamento avrà guadagnato slancio. 

Protezione dall’inflazione. Sebbene il crollo della domanda rappresenti un ostacolo per le materie prime, un continuo squilibrio tra domanda e offerta, così come i tagli alla produzione segnalati dall’OPEC, potrebbero spingere i prezzi del petrolio al rialzo. Riteniamo che i breakeven dei TIPS restino interessanti, così come alcuni asset reali.

Approccio cauto al credito. Gli spread non sono particolarmente interessanti, dato l’elevato rischio di recessione. Detto questo, individuiamo opportunità nel credito strutturato, in particolare nell’edilizia residenziale non-agency di tipo MBS , e nel credito a breve scadenza.

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