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La forza lavoro in Europa sta invecchiando: quali sono le implicazioni per gli investimenti?

Nicolas Wylenzek, Macro Strategist
6 min di lettura
2025-09-30
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Le opinioni espresse sono quelle dell’autore alla data di redazione. I singoli team di gestione possono esprimere opinioni differenti e prendere decisioni d'investimento diverse. Il valore finale dell’investimento potrebbe essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. Eventuali dati di terzi utilizzati nel presente documento sono considerati affidabili, tuttavia non è possibile garantirne l’esattezza. Destinato esclusivamente a investitori professionali. 

La popolazione europea sta invecchiando a una velocità senza precedenti. Sebbene se ne parli da anni, ritengo che alcuni fattori strutturali come la transizione energetica, la deglobalizzazione e il cambiamento della politica europea stiano accelerando questa tendenza, con conseguenze importanti per l’economia e i mercati finanziari europei. In questo articolo mi concentro sulla probabile risposta dell’Europa ai cambiamenti che ne risultano a livello di offerta di lavoro e provo a delineare le potenziali implicazioni per gli investitori. 

Calo sempre più repentino del numero di cittadini europei in età lavorativa 

I dati del dipartimento statistico della Commissione Europea, Eurostat, mostrano l’entità del cambiamento demografico in atto. L’Eurostat prevede che la percentuale di persone con 65 o più anni residenti nell’Unione Europea (UE) aumenterà da circa il 20% della popolazione alla fine del 2019 a un picco di circa il 30% entro il 2050. In altre parole, l’indice di dipendenza degli anziani passerà da circa il 34% nel 2019 a circa il 57% nel 2050, vale a dire che l’UE non avrà più tre adulti in età lavorativa per ogni persona di 65 anni o più, bensì - nella migliore delle ipotesi - ci saranno due persone in età lavorativa per ogni ultra 65enne.

L’impatto si farà sentire in molti ambiti dell’economia europea - dall’assistenza sanitaria, al comportamento dei consumatori, agli investimenti aziendali - ma soprattutto nel mercato del lavoro, dove i primi effetti si stanno già manifestando. Sebbene nel 2023 l’Europa abbia registrato un significativo rallentamento economico, la disoccupazione nella maggior parte dei paesi membri ha raggiunto un minimo pluridecennale. Notiamo altresì l’avanzare del cosiddetto “labour hoarding”, ovvero la tendenza delle aziende a mantenere in periodi di difficoltà anche i dipendenti di cui non hanno strettamente bisogno, per paura di non riuscire poi a riassumerli una volta che l’economia si sarà ripresa. 

I cambiamenti strutturali alimenteranno questa stretta del mercato del lavoro

Questa dinamica coincide con cambiamenti strutturali che richiedono una forza lavoro più ampia anziché più ridotta: 

  • Transizione energetica: anche se ritengo che la transizione energetica avrà un natura deflazionistica per l’Europa, la costruzione delle infrastrutture necessarie implicherà un elevato impiego di manodopera.
  • Riorganizzazione delle catene di fornitura: negli ultimi decenni, le catene di fornitura si sono concentrate sul miglioramento dell’efficienza e sulla riduzione dei costi. Ora, con l’escalation delle tensioni geopolitiche e una maggiore attenzione alla resilienza della catena di approvvigionamento, i policymaker europei stanno cercando di rilocalizzare le capacità produttive in una serie di settori chiave, il che implica un’ulteriore richiesta di lavoratori.
  • Crescente concorrenza internazionale per la manodopera a basso costo: la sfida demografica non è un fenomeno prettamente europeo. Il Giappone la sta affrontando da anni, ma lì le aziende si rifiutano di pagare salari più elevati e preferiscono esternalizzare le attività in Cina e in altri paesi asiatici. Ora, però, anche la Cina e altre economie si trovano ad affrontare lo stesso problema e quindi questa tendenza si sta esaurendo. Con il tempo, l’Africa potrebbe offrire nuove opportunità di outsourcing, che tuttavia comporteranno verosimilmente maggiori rischi geopolitici, nonché rischi legati alle catene approvvigionamento e ai cambiamenti climatici. Nel complesso, direi che la domanda di manodopera a basso costo supera l’offerta. 

Aumentano salari e inflazione, calano i margini

La contrazione del mercato del lavoro dovrebbe consentire ai lavoratori di riacquistare un certo potere contrattuale, con una conseguente crescita salariale strutturalmente più elevata. A parità di altre condizioni, questo cambiamento ha due implicazioni:

  • Margini più bassi – Una crescita salariale più elevata senza un corrispondente incremento della produttività farà salire il costo unitario del lavoro e ridurrà i margini aziendali, soprattutto nei settori ad alta intensità di manodopera. Da una prospettiva top-down, la quota di profitto del PIL tende a diminuire quando la quota salariale aumenta. 
  • Inflazione più elevata – La crescita salariale è uno dei principali motori dell’inflazione, soprattutto nel settore dei servizi. In assenza di un incremento della produttività, questa dinamica comporta un’inflazione strutturalmente più elevata nel medio termine. 

Diverse risposte possibili. Quella più probabile: maggiori investimenti nella produttività

Per farla semplice, ci sono tre modi per affrontare il problema:

  • ampliare la forza lavoro attraverso l’immigrazione;
  • aumentare l’orario di lavoro attuale; o 
  • migliorare la produttività. 

Anche se il percorso da seguire sarà probabilmente una combinazione di tutte e tre le strategie, ritengo che l’opportunità maggiore risieda nel miglioramento della produttività. 

Quanto all’immigrazione, è improbabile che sia d’aiuto nel breve termine.

Oxford Economics prevede che la forza lavoro europea si ridurrà a un ritmo di circa 700.000 persone l’anno. Anche nello scenario più ottimistico, ciò significa che l’Europa avrà bisogno di circa 1,2 milioni di immigrati all’anno. Il numero è maggiore per il fatto che gli immigrati vorranno sicuramente portare con sé le proprie famiglie e si troveranno spesso a dover superare ostacoli linguistici e di competenze. È più di un decennio che in Europa non arrivano così tanti nuovi immigrati, fatta eccezione per il 2022 con l’esodo dei rifugiati ucraini. Inoltre, gli immigrati tendono ad essere sotto-occupati, il che ne limita la capacità di sostituire i lavoratori più qualificati.

Allo stesso tempo, l’atteggiamento sempre più critico dell’elettorato europeo nei confronti dell’immigrazione - evidenziato dal recente spostamento politico a destra - riduce ulteriormente la probabilità di raggiungere i numeri necessari a livello di manodopera immigrata. 

L’aumento dell’orario di lavoro rischia di suscitare malcontenti

Una serie di misure potrebbe incoraggiare o costringere gli attuali lavoratori a lavorare di più, ma provvedimenti come l’innalzamento dell’età pensionabile tendono ad essere molto impopolari, come hanno dimostrato le recenti turbolenze in Francia. Semmai, sono sempre più frequenti le richieste di accorciare la settimana lavorativa. Altre strade includono la facilitazione del lavoro part-time durante la pensione o, come si sta discutendo in Germania, incentivi fiscali per gli straordinari. Un’opzione più fruttuosa sarebbe quella di aumentare la partecipazione femminile alla forza lavoro ai livelli elevati riscontrati in alcuni paesi nordici, ma ciò richiede di sviluppare modelli di assistenza all’infanzia accessibili e sostenibili e di colmare i persistenti divari retributivi. Tuttavia, le priorità politiche sembrano attualmente concentrate su altre aree, come la transizione energetica e la difesa.

Gli investimenti nella produttività sono la strada più “facile” da percorrere

A mio avviso, questo resta il percorso più probabile. Sebbene nell’ultimo decennio i tentativi di incrementare la produttività in Europa siano stati tutt’altro che entusiasmanti, ritengo che i politici europei abbiano ancora qualche carta da giocare per migliorare questo aspetto: 

  • Meno burocrazia - Diversi sondaggi condotti fra le imprese dimostrano che la burocrazia resta un grosso ostacolo per chi vuole fare business nell’UE. Ridurre la burocrazia potrebbe quindi migliorare di molto l’efficienza. I recenti commenti dei politici dell’UE suggeriscono che il prossimo Parlamento Europeo potrebbe fare delle riforme favorevoli alle imprese una delle sue maggiori priorità. La sfida consisterà soprattutto nell’eliminare la burocrazia superflua, garantendo al contempo il raggiungimento degli obiettivi politici in settori come la salute pubblica e l’ambiente, poiché uno dei principali benefici sarebbe proprio l’aumento della produttività dell’Europa a lungo termine. 
  • Più investimenti nella formazione, nell'automazione e nell’efficienza - Le proposte della Commissione Europea per sostenere la riqualificazione dei lavoratori (“Anno europeo delle competenze 2023”) o gli investimenti nella digitalizzazione (un pilastro chiave del programma fiscale NextGenerationEU) sono passi incoraggianti. Possono integrare gli investimenti previsti dal settore privato per migliorare l’efficienza e la produttività, con la tecnologia legata all’IA che può fungere da acceleratore in molti settori.

Quali sono le implicazioni per gli investimenti?

Oltre alla pressione sui margini aziendali e all’aumento dell’inflazione, ritengo ci siano altre due importanti implicazioni per gli investimenti: 

Opportunità tra i facilitatori della produttività - Quando il mercato del lavoro risulta caratterizzato da carenza di manodopera, le aziende cercano di reindirizzare il loro capitale verso le attività di R&S, i software e le attrezzature industriali per aumentare l’efficienza e l’automazione. Di conseguenza, prevedo un aumento degli investimenti in questi ambiti, con diversi titoli europei come probabili beneficiari. Infatti, le aziende che promuovono questo incremento degli investimenti in efficienza attraverso le loro soluzioni e i loro servizi sono particolarmente ben posizionate per trarne vantaggio. 

Differenziazione tra vincitori e perdenti relativi - L’efficacia dei vari paesi nel rispondere alle sfide demografiche diventerà probabilmente un importante fattore di differenziazione per le economie europee. Nel complesso, ritengo che la Spagna, il Regno Unito, l’Irlanda e, in misura minore, anche il Portogallo abbiano un chiaro vantaggio: parlare lingue ampiamente diffuse. Anche se attualmente stanno affrontando un duro contraccolpo politico sul tema immigrazione, come sta accadendo in altri paesi europei, avere una lingua comune facilita generalmente l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

La Spagna, in particolare, è riuscita ad attingere a un ampio bacino di immigrati sudamericani durante i precedenti periodi di crescita economica. Determinante per attirare numerosi lavoratori qualificati e persone facoltose dall’America Latina è stato anche il fatto che il paese concede la cittadinanza dopo soli due anni di residenza. Si tratta di un importante punto di forza per la mia visione strutturalmente positiva sulla Spagna.

Il nostro esperto

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